Non mi piace chi per partito preso o per spocchia intellettuale dà giudizi che perlomeno si possono classificare come frettolosi. Ci sono degli esempi di situazioni in cui il tempo dirà la sua in maniera inequivocabile. Ma il tempo ha bisogno del suo tempo (mi si scusi il bisticcio di parole).
Mi spiego con un esempio. Ho moltissimi dubbi sulla riuscita dell’operazione Champions per Mediaset Premium. Ma parlare ora di scelta valida o sbagliata mi sembra roba da bar. Anche perché senza Champions Premium sarebbe andata verso morte certa.
Arrivo al tema Netflix. Attenzione ora a limitarsi ai giudizi sulla qualità e quantità dell’offerta. Sono d’accordo con Emilio Pucci, esperto di media con cui mi confronto spesso, quando parla di una strada in salita per il colosso californiano. In Italia ci sono già player potenzialmente (e sottolineo potenzialmente) attrezzati: Skyonline, Infinity (Mediaset), Timvision e Chili Tv.
Peraltro i primi due nascono da una costola di broadcaster che, per quella che io vedo come una scelta (anche se mi è stato detto di no) che considero miope, non hanno spinto lo scorso anno né su Skyonline né su Infinity. Hai voglia a dire che si rivolgono a pubblici diversi da quelli cui Mediaset parla (con la tv free) e Sky con l’offerta di qualità pay. In un contesto economico calante come quello italiano se si spinge da una parte (video on demand) ci sta che la pay (ma anche la tv free) ne soffra.
E’ qui che io vedo la portata disruptive dell’arrivo di Netflix. Ok, con un catalogo ancora non brillantissimo. Ma a 7,99 euro al mese ha film vecchiotti, ma anche serie Tv, americanate, cartoni e film di qualità annunciati. Gli obiettivi sono sfidanti: una famiglia su tre. E anche l’atteggamento di Netflix è spavaldo.
Ci sono delle condizioni che potrebbero frenare lo slancio di Netflix. Per esempio il miglioramento dei programmi messi in campo dai broadcaster su tv lineare. O anche il rafforzamento dell’offerta dei servizi on demand di cui parlavo. Ma ora come ora Netflix trova davanti a sé una prateria. La Tv lineare – e qui parlo di tutti i broadcaster, dalla Rai in giù – oggettivamente non ha programmi che incollano allo schermo. La Pay tv ha prodotti nettamente migliori, ma a costi più alti. L’on demand qui può inserirsi come un topo nel formaggio. Content is the king.
Il Chief Content Officer di Netflix, Ted Sarandos, l’altroieri durante la presentazione ha detto: «Chi prova la libertà di scegliere oltre il palinsesto, non torna indietro. E questo riguarda persone di tutte le età». Mia figlia di 6 anni di sicuro non ha dubbi.