La rinuncia di Sky e il rischio flop per l’asta delle frequenze

Sky Italia ha fatto capire che non parteciperà alla gara per le frequenze. «Non riesco a trovare buone ragioni per cui dovremmo» partecipare all’asta sulle frequenze televisive ha detto Eric Gerritsen, executive vice president communication & pubblic affairs di Sky Italia. Un modo insomma, abbastanza esplicito, per chiamare Sky fuori dalla partita per l’assegnazione di tre infrastrutture per le frequenze televisive del digitale terrestre. La risposta all’ipotesi che Sky presenti un’offerta sul bando in scadenza a metà aprile, il manager ha poi risposto: «Perché dovremmo farlo? Ci dicono che ci sono 3 multiplex e che noi possiamo partecipare solo per quello peggiore. Voi lo fareste?». Un po’ di storia (poca). Tutto nasce dalla legge 42/2012 con la quale il Governo Monti ha di fatto deciso che le frequenze da assegnare – il dividendo digitale conseguente al passaggio dall’analogico – come richiesto da Bruxelles, sarebbero state oggetto di una gara “onerosa” e non di assegnazione gratuita (il “beauty contest” tanto contestato).

Due i pilastri del disciplinare di gara messo a punto da Agcom e poi passato attraverso sei mesi di valutazione a Bruxelles, prima del bando di gara che scadrà a metà aprile. Il primo: sono stati estromessi i lotti del Blocco U, vale a dire quelli della banda 700 Mhz, che inizialmente si volevano mettere a gara per soli 5 anni. Sono tre lotti che restano a disposizione dello «sviluppo futuro» della Lte, ovvero della banda larga mobile. Una scelta tutto sommato di buon senso: chi avrebbe partecipato a una gara per gestire una rete per soli cinque anni, come previsto nella prima versione del regolamento?
L’altro pilastro è stato quello di escludere i big. Il provvedimento consente di concorrere per tutti e tre i lotti disponibili (L1, L2, L3) ai soli nuovi entranti o piccoli operatori (che detengono cioè un solo multiplex) e per due lotti agli operatori già in possesso di due multiplex (il gruppo Repubblica-Espresso). Sono fuori, quindi, Rai e Mediaset (possessori di 4 multiplex) e Ti Media(3). Limitazione anche per Sky: possibilità di concorrere per un solo lotto agli «operatori integrati, attivi su altre piattaforme con una quota di mercato superiore al 50% della tv a pagamento».

Ieri la risposta di Sky. Del resto, chi si aggiudica un lotto, poi, non solo deve pagare lo Stato, ma investire per costruire la rete (vi è l’obbligo di copertura del 51% della popolazione in cinque anni). La base d’asta è di circa 90 milioni per tutti e tre i multiplex. Non è che si rischia il flop?